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Riporto integralmente un interessante articolo pubblicato da Banca Mediolanum.

Cambiare è un’opportunità – Articolo by Banca Mediolanum

Il 7 Marzo 2000 a Wall Street sembrava un giorno come un altro, scandito al ritmo di una sospensione al rialzo e l’altra. Poi una notizia raffredda l’euforia: Procter & Gamble lancia un profit warning(1). Improvvisamente si apre la falla, il titolo crolla tanto che a fine giornata segnerà un meno 30%.  Il rumore di fondo che si inizia a sentire proviene dalle unghie dell’Orso che accarezzano la bolla, che scoppierà da lì a pochi giorni. Il 10 Marzo 2000 è la data che segna la fine di molti sogni e di molti dollari.

Fu una società della “old economy” a suonare il campanello d’allarme, la sveglia che riportò alla realtà e fece capire quanto le quotazioni si fossero allontanate dal loro valore reale e dalle prospettive di utile.

Oggi, 15 anni dopo, il Nasdaq è ritornato a vedere la vetta, di nuovo a 5,000. Ma questa volta con uno spirito diverso, sono i numeri a dirlo. Basta pensare solo che nel 2000 il p/e medio(2) dei titoli principali era 100, oggi siamo a un modesto 21. Dai minimi del 2003 il Nasdaq è risalito del 350%. Ci sono voluti 12 anni per ritornare in vetta, negli anni novanta per fare lo stesso percorso bastarono solo 3 anni.

Se nel 2000 il Nasdaq era guidato da un sogno oggi è guidato dalla realtà. Molte cose rispetto a 15 anni fa sono cambiate; Netscape(3) non c’è più, così come CMGI, Worldcom, Palm, Double Click e Dell. O sono fallite o sono state comprate da altri colossi. Gioie prima e dolori poi per molti risparmiatori. Nel 2000, ad esempio, Apple aveva sfiorato il fallimento crollando fino a 2$. Oggi possiamo dire che il Nasdaq è Apple, è grazie alle sue invenzioni se vede di nuovo la vetta.

Una vetta che è stata raggiunta dopo 6 anni di crescita costante, continua e senza mai tirare fiato, tanto che in molti si chiedono se il Nasdaq e Wall Street non siano di nuovo in bolla, o, se non lo sono loro, quale possa essere la prossima bolla di questa nuova era finanziaria. Apprensioni che si accumulano e intensificano ogni qualvolta l’ottimismo si diffonde e viene amplificato dai media.

Mary Schmich, columnist del Chigago Tribune, nel suo Wear Sunscreen del 1997 scrisse “Non preoccuparti del futuro. Oppure preoccupati, ma sapendo che questo ti aiuta quanto masticare un chewing-gum per risolvere un’equazione algebrica. I veri problemi della vita saranno sicuramente cose che non ti erano mai passate per la mente”(4).

E’ un esercizio inutile cercare di capire quale potrà essere la prossima crisi per prevenirla. È successo nel 2001 con la tragedia del World Trade Center, un evento imprevedibile, così come nel 2007 quando la maggior parte degli esperti si preoccupava più dell’Iran che della bolla sui mutui e su tutti i derivati costruiti intorno, o come nel 1994 con l’imprevista impennata dei tassi Usa o peggio il crack del 1987. Ma non ci sono solo casi negativi. Imprevedibile è stata la rinascita del 2009 nel buio più profondo della crisi, ma anche nel comparto obbligazionario l’azzeramento dei tassi d’interesse a livello mondiale, per molti uno shock.

Il compito non è quello di fare i chiaroveggenti, gli indovini o i profeti, ma quello di cercare il valore ovunque esso sia e soprattutto di proteggerlo nel tempo.

Mercati

Azionario

“Se vuoi il rendimento, devi prendere il rischio”. Sembra essere questo il motto delle maggiori case d’affari. Ed è difficile affermare il contrario, visto il calo generalizzato subito dalle commodity e l’azzeramento a livello globale dei tassi sui titoli di stato e i rendimenti poco accattivanti dei bond societari.

Immaginando il mondo finanziario come un oceano oggi è attraversato da grandi navi cariche di capitali che però non riescono a trovare un porto profittevole dove depositare i propri risparmi. Sembra un paradosso, ma la cascata di liquidità riversata dalle maggiori banche centrali del mondo, invece di irrigare il terreno lo ha desertificato. Ma ogni deserto che si rispetti, anche il più arido, ha le sue oasi che nel nostro caso sono ampie e abbondanti, sembra che proprio lì si sia accumulata la maggiore concentrazione di rendimento. Queste oasi per noi rappresentano il mercato azionario.

Ma il mercato azionario è un mondo che contiene sempre delle insidie, solo i professionisti hanno strumenti, tecnologie e mezzi per cogliere le opportunità mediando i rischi.

Come anche i cavalli vincenti possono cambiare anche solo nell’arco di dieci anni lo vediamo nelle tabelle qui sotto. Prendiamo ad esempio il caso dell’ultima crisi, possiamo notare come tra il prima e il dopo siano notevolmente cambiati i protagonisti, sia tra i diversi settori, sia all’interno di una stessa categoria. Nello specifico lo vediamo in quello bancario.


L’origine della “bolla finanziaria 2008” ha visto in soli 5 anni le perdite di posizioni di gran parte dei big bancari europei e il crescente dominio di quelli Usa.

Mentre nella tabella che confronta i diversi settori


si nota come prima della crisi il predominio fosse della “old economy” e nel dopo crisi la conquista dello scettro è appannaggio delle nuove tecnologie. In testa alla classifica Apple, società che fino a 15 anni fa – durante la “bolla internet” – aveva addirittura rischiato il fallimento.

Evidente quanto siano frequenti e rapidi i capovolgimenti in questa particolare ed eccezionale epoca, ma anche come altrettante siano le occasioni le opportunità e le prodigiose rivalutazioni.

Azioni, soprattutto europee, si sbilancia con coraggio Mihir Worah(5) secondo il quale il luogo migliore dove investire i risparmi è proprio il Vecchio Continente, e specificatamente nelle azioni europee.

Europa meglio di Usa e dei Paesi Emergenti. Eurozona meglio di Usa, perché questi ultimi saranno zavorrati dal Dollaro forte, nonostante siano molte le variabili a indirizzare l’andamento dei mercati, la guida principale rimangono sempre i profitti, le ultime statistiche riferiscono di una forte riduzione rispetto alle ultime stime, questo peserà sui corsi. Eurozona meglio dei Paesi Emergenti, la causa è sempre il Dollaro forte, sono infatti molte le aziende che avranno degli handicap causati dal crollo del prezzo del petrolio e soprattutto dall’eccessivo indebitamento in Dollari, più la valuta estera si rafforza, più diventa pesante il macigno del debito che a cascata peserà sui conti societari.

Dunque l’importante è sempre diversificare.

Obbligazionario

Nel mondo capovolto in cui ci troviamo oggi il rischio delle obbligazioni non si trova più nei rendimenti ma nel prezzo degli strumenti.

L’estrema riduzione delle cedole ha costretto investitori e risparmiatori a puntare tutto sulla rivalutazione del capitale, ma questo mondo non potrà durare per sempre, prima o poi i tassi dovranno risalire, e questa inversione di tendenza, anche se minima, intaccherà parte del capitale.

Ha senso rischiare operazioni speculative senza un minimo ritorno di rendimento?

Cambiare è un atto doveroso, rispettoso della logica degli investimenti. E’ come pensare di costruire casa in un terreno a rischio sismico e costruirla in una terra dove la sismicità è bassa. Le obbligazioni ora sono il primo caso.

Un giorno gli storici ricorderanno questa era come la più grande bolla della storia. Sono oramai 30 anni che le obbligazioni si rivalutano, da quando a metà degli anni Ottanta Paul Volcker(6) dichiarò finita la guerra all’inflazione, e da tassi d’interesse a due cifre iniziò l’epoca dei tagli e della riduzione dei rendimenti. Oggi siamo arrivati a zero, in alcuni casi sotto zero, sembra quasi la normalità, ma nell’arco della lunga storia dei mercati finanziari, questa sarà ricordata come una grande eccezione.

Valutario

Come per i mercati non esiste il “soft landing”, termine che andava molto di moda tra gli economisti negli anni novanta, così non sono ammesse le mezze misure. Il riferimento in questo caso è all’Euro/Dollaro, se per molti mesi abbiamo considerato – per tutti i motivi nel tempo elencati – la nostra moneta sopravvalutata rispetto al biglietto verde, e questa sopravvalutazione non cessava di esistere, oggi in pochi mesi abbiamo assistito al rientro da quella eccezionalità.

Breve, brevissimo momento che fa molto bene alla finanza e alle tasche dei risparmiatori, meno bene all’economia e alle imprese che dai movimenti repentini e eccessivi subiscono sempre bruschi contraccolpi che devono essere riassorbiti nel tempo dagli aggiustamenti di bilancio.
Una rivalutazione che se da un lato è un balsamo per le aziende europee, dall’altro è un liquido irritante per le aziende fuori dal continente, soprattutto quelle di paesi emergenti e degli Usa.

Può durare e prolungarsi questo movimento? Ricordiamo le parole usate nell’ultimo report dal Governatore della Fed, Janet Yellen, le mosse future sul rialzo dei tassi terranno conto degli “scenari internazionali” che tradotto in parole semplici significano che tutta l’attenzione sarà rivolta all’andamento delle altre economie, in particolare area Euro, e a quello dei cambi. L’eccesso sul Dollaro molto probabilmente prolungherà la già grande pazienza delle autorità americane, i tassi rimarranno bassi, ma ricordiamoci che questo non sarà eterno.

“Non c’è spina senza rosa”

Gli ultimi dati sulla produzione industriale italiana portano un segno negativo, inaspettato se riferito all’ottimismo generale in crescita e soprattutto se comparato con le stime che indicavano, tutte, ulteriore crescita.

Ed ecco che iniziano a sorgere i primi dubbi: servirà veramente il Quantitive Easing di Draghi o sarà solo l’ennesimo regalo a banche e speculatori come nuova fonte di arricchimento?

Come in altri anni, capiamo che per molti possa sembrare un’altra era, l’effetto sulla riduzione dei tassi si dispiegava sull’economia nell’arco di 3/6 mesi, così gli allentamenti quantitativi hanno bisogno del giusto tempo per scorrere nei meccanismi e poi accelerare il movimento degli ingranaggi.

In verità, nel QE di Draghi un effetto benefico già si intravede, direttamente sulla finanza e indirettamente sull’economia. Lo sentiamo dai media tutti i giorni: lo Spread tra i titoli di stato si va velocemente riducendo, come è in forte riduzione, soprattutto per il nostro Btp, il rendimento che ha ormai raggiunto livelli da minimo storico. Se per il risparmiatore è una cattiva notizia perché porta a un minimo rendimento, per lo Stato è invece una buona notizia perché significa un minore esborso di interessi e quindi di pagamento sul grande debito.
Una minore spesa di interessi che è superiore alle più rosee aspettative, rispetto a quanto la finanza di Stato aveva scritto a bilancio. Minori spese equivalgono a un primo tesoretto, una somma che si quantifica in 4 miliardi di euro, cifre che, l’attualità lo impone, saranno reinvestite nell’economia.

Sempre più, dopo il calo del prezzo del petrolio, la caduta dell’euro, l’azzeramento dei tassi, l’avvicinamento dell’evento Expo e ora con il mini tesoretto di Stato, questo è il momento del rilancio.

 

1) Profit warning significa “allarme utili”. Si tratta di un avvertimento che le società lanciano agli investitori se prevedono in futuro una diminuzione dei profitti. I mercati si muovono sulle aspettative, quando la media degli analisti si aspetta un certo livello di utili su una società, i prezzi di Borsa tendono ad allinearsi ai livelli di profitti previsti. Se poi la società delude le attese e annuncia risultati peggiori, la Borsa si adegua di nuovo al ribasso.
2) Price/Earning è il rapporto prezzo/utili cioè fra il prezzo corrente di un’azione al momento del calcolo dell’indicatore, scelto di solito nel listino della Borsa nazionale coi maggiori volumi scambiati (per l’Italia si considera Milano), e l’utile atteso per ogni azione.
3) Netscape Navigator fu il primo web browser grafico di successo della storia dell’informatica. Negli anni ’90 fu per un periodo il browser con percentuali di utilizzo più elevate che poi si ridussero fino alla quasi scomparsa nel 2002. Il crollo di Netscape fu una premessa fondamentale del processo antitrust contro Microsoft, nel quale la Corte ha dichiarato che l’abbinamento, da parte di Microsoft Corporation, di Internet Explorer con il sistema operativo Windows era una pratica commerciale monopolistica e illegale. La decisione venne però troppo tardi per Netscape visto che intanto Internet Explorer era diventato il browser dominante in Windows. Il 1º marzo 2008 AOL, la società che ne detiene i diritti, ha dichiarato la fine del progetto Netscape.
4) Nel 1999 Baz Luhrmann realizza una canzone intitolata Everybody’s Free (To Wear Sunscreen) in cui questo articolo è riportato parola per parola. Canzone che ha occupato il primo posto nelle hit di molti Paesi.
5) È CIO Real Return and Asset Allocation e managing director presso la sede PIMCO di Newport Beach, gestore e responsabile dei team di gestione real return e multi- asset. Prima di entrare in PIMCO nel 2001, è stato ricercatore associato post-dottorato presso la University of California, Berkeley, e lo Stanford Linear Accelerator Center, dove ha costruito modelli per spiegare la differenza tra materia e antimateria. Nel 2012 è stato coautore del libro “Intelligent Commodity Indexing”, pubblicato da McGraw-Hill. Ha maturato 12 anni di esperienza nel settore degli investimenti e ha conseguito un dottorato in fisica teorica alla University of Chicago.
6) Paul Adolph Volcker è un economista statunitense. Era il presidente della Federal Reserve sotto i presidenti Jimmy Carter e Ronald Reagan.

Basiglio, 31 marzo 2015 – Banca Mediolanum

Gli argomenti, le immagini e i grafici sono frutto di elaborazione interna Banca Mediolanum

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